giovedì 9 dicembre 2010

Il Kimono - II parte-


L’uscio della casa di Mariko era  avvolto nei contorti rami di un  antico glicine. Gli opulenti grappoli viola pendevano pigramente sull’architrave, lunghi al punto di sfiorare il capo di chi oltrepassava la soglia ; tale  leggero contatto, così come il tocco della  brezza serotina, favoriva  nell’aria circostante lo spandersi di un profumo meravigliosamente delicato e suadente :
“Il profumo dell’amore” pensò Alfonso DaSilva   deponendo le proprie calzature, come gli era stato detto di fare, accanto alle altre già ordinatamente allineate a lato della porta d’ingresso.
Il suo interprete e servitore era stato abile, non erano trascorsi che pochi giorni da quando la bella Mariko aveva suscitato il suo interesse e già  era riuscito ad ottenergli un incontro.
Era pur vero che il piccolo interprete lo aveva informato che, senza l’influenza di Keyco, la concubina dell’Imperatore, nulla avrebbe convinto la geisha ad un incontro con lui, ma di ciò egli poco si curava, da uomo pratico non poneva limiti ai mezzi da adoperare per ottenere il suo fine ed il suo fine in questo momento era avere per sé quella splendida creatura.
“Sono pronto Goro-san – disse rivolto all’interprete – introducimi e poi lasciami solo, non avrò più bisogno di te”
L’uomo s’inchinò profondamente come era solito fare ma, un istante prima di voltarsi e varcare l’uscio, lasciò cadere, casuali come foglie portate dal vento in autunno, queste parole:
“Signore, ricordo ora una preghiera della nostra comune padrona la  divina Keyco…”
“Niente per niente, dovevo immaginarlo” pensò DaSilva  poi rivolto all’uomo:
“Sarà per me un onore servire la nostra signora. Ebbene, cosa desidera in cambio di Mariko?”
“ Il kimono ch’ella indossava il giorno in cui la vedeste a palazzo, ecco ciò che chiede”
Per alcuni istanti DaSilva non parlò, fissava il piccolo uomo davanti a sé  e una strana espressione le aleggiava sul volto poi, come un tuono , la sua risata echeggiò alta nel silenzio di quella sera primaverile
“Quella donna è pazza – disse tra le risa, scordando del tutto il rispetto dovuto ad un personaggio di così alto lignaggio - pretende  l’abito di un’altra femmina  dopo averle estorto, usando il suo potere, favori verso un  perfetto sconosciuto  oltretutto straniero!! No: questa è la mia risposta. Riferirai alla signora Keyco che non posso favorirla in questo modo ma che sarà mio piacere e onore farle dono di qualsiasi altro paludamento le piacerà scegliere.” Detto ciò fu nuovamente colto da un eccesso di risa se pur meno prepotenti delle prime.
Goro lasciò che il suo padrone ritrovasse il fiato prima di parlare:
“ Se la signora Keyco non otterrà ciò che chiede le nostre vite non avranno più valore di quella di una zanzara posata sull’acqua di uno stagno popolato di rane”
Il tono assolutamente piatto ed incolore dell’uomo ebbe il potere di distogliere DaSilva dalle proprie esilaranti considerazioni  e di riportarlo in una assai meno divertente dimensione:
“Che vai dicendo, perché le nostre vite sarebbero in pericolo.Parla e subito, maledetto impiastro o io…”
Goro non chiedeva di meglio che spartire con altri il suo tremendo fardello, dal suo incontro con Keyco, tre giorni prima, non era più riuscito a mangiare né a riposare, il pensiero del terribile macigno che, suo malgrado e senza colpa alcuna, gravava sulla sua testa non lasciava in lui spazio per altro che non fosse paura.
In breve raccontò ogni cosa al suo padrone avendo cura di includere anche lui nei progetti omicidi di Keyco, quando ebbe terminato il suo racconto Da Silva lo fissò intensamente negli occhi, egli sentì un vuoto allo stomaco come dopo  un pugno.
“ Introducimi e poi vattene. Quella maledetta strega avrà ciò che chiede”
Goro s’inchinò senza parlare e, dopo aver  grattato leggermente alla porta, la fece scorrere silenziosamente ed entrò.

Mariko e Yuya, la sua giovane apprendista, avevano spiato l’arrivo dello straniero e ora lo osservavano mentre dialogava nel suo incomprensibile linguaggio con il  servitore: era enorme, l’uomo più grande che entrambe avessero mai visto, la sua altezza superava senz’altro  6 shaku e il suo viso era coperto di lunghi peli color del rame  anche i suoi occhi erano strani, tondi  e pallidi come il cielo all’alba.
Lo sguardo di Yuya si posò sulle mani dell’uomo e un brivido  la percorse come le accadeva quando vedeva una serpe in giardino, quelle non erano mani d’uomo, troppo grandi e nodose, ricoperte di macchioline brune e peli ricciuti : zampe d’animale. Eppure, il pensiero che quelle mani si sarebbero presto posate sul bel corpo bianco della sua protettrice non produsse in lei disgusto ma una strana, sconosciuta sensazione, come un’occlusione alla bocca dello stomaco, non capì perché ma istintivamente strinse forte le gambe.
Mariko era furente, come aveva potuto il divino Imperatore essere tanto stolto e crudele da imporle un simile supplizio, da umiliarla in quel modo dandola in pasto ad una bestia straniera, forse non aveva gradito la sua esibizione , forse l’aveva offeso in qualche modo…No, non poteva accettare una simile sorte, doveva esserci un modo per sfuggire.
Improvvisamente, come un fiore a primavera, la soluzione sbocciò nella sua mente, ma doveva agire immediatamente, prima che lo straniero entrasse, prima che la vedesse troppo da vicino, balzò in piedi con un unico movimento fluido e ordinò a Yuya di fare lo stesso, poi tirando la ragazza per una manica si affrettò nella stanza adiacente e richiuse con cura i sottili pannelli di carta di riso bianchissima dietro di sé.
Non appena fu certa di non poter essere udita dai due uomini ancora in attesa sotto il porticato d’ingresso disse rivolta a Yuya:
“ Sorellina, hai visto quell’uomo? “ La soave, bassa voce della geisha era piena di pianto e disperazione nel pronunciare quelle parole  ma a Yuya non sfuggì la freddezza degli occhi, conosceva tutte le arti di Mariko e in quel momento era l’attrice a parlare, tuttavia rispose:
“ Ho visto, sorella maggiore, incute paura a solo guardarlo”
“ E’ così infatti ed io non oso immaginare cosa potrebbe fare di me se mi concedessi a lui, potrei morire o peggio essere sfigurata, potrebbe mordermi le carni, hai notato come sono aguzzi i suoi denti?”
La giovane si domandò come e quando Mariko avesse potuto scorgere i denti dell’uomo in mezzo alla selva disordinata che gli ricopriva il volto e nei pochi istanti che avevano avuto per osservarlo, ma non fece domande poiché aveva già pagato, in passato, le spese della sua troppo viva curiosità.
Si limitò ad annuire e questo diede modo alla geisha di continuare:
“ Povera me, come posso ubbidire il mio Signore e allo stesso tempo salvare la mia vita..”
Yuya conosceva la sua parte, era giunto il momento di offrire aiuto senza che la sua padrona  dovesse chiederlo direttamente:
“ Sorella maggiore, se posso in qualche modo alleviare le tue pene, disponi pure di me”
La voce della donna rimase soave e bassa ma non  vi era più traccia di pianto quando disse:
“ Sì, puoi”

Alfonso DaSilva fu introdotto in una piccola sala  triangolare: due  delle pareti erano prive di  sbocchi e si univano al vertice formando uno stretto angolo  l’unica via di entrata o uscita era l’ampio scorrevole rivestito di  carta  di riso posto sulla parete più lunga .
 Pareti e Pavimento erano in legno piallato e tirato a cera fino ad ottenere dalle fibre delicate sfumature  tabacco; come d’uso in tutte le case di quel paese non vi erano mobili ad ingombrare gli spazi, solo un basso tavolo posato su  un ampio tatami troneggiava al centro della stanza.
L’illuminazione era fornita  da  alcune lanterne di delicatissima fattura che pendevano dal basso soffitto e  donavano all’ambiente una morbida luce vagamente rosata.
L’anziana donna  che l’aveva accompagnato gli fece cenno di sedere dietro al tavolo in posizione tale da essere rivolto con il viso verso lo scorrevole, quando fu certa che DaSilva avesse inteso bene lasciò la stanza camminando all’indietro con il mento appoggiato al petto e gli occhi bassi che sollevò solo un istante mentre richiudeva dietro di sé lo scorrevole  per lanciare un’ultima curiosa occhiata al singolare ospite.
La sua solitudine fu di breve durata, pochi minuti dopo essere stato lasciato dalla  fantesca la porta si  riaprì e una figura minuta si stagliò, controluce, nel riquadro della porta.
Nel delicato profilo del corpo DaSilva fu certo di riconoscere Mariko e subito avvertì una sensazione di calore diffondersi  dal ventre in tutto il suo corpo ma non appena la donna avanzò qualche passo nella sua direzione, uscendo dal gioco dei chiaroscuri, egli vide l’evidenza del suo errore; la ragazza che aveva davanti, per quanto giovane e graziosa non era minimamente paragonabile a colei che aveva risvegliato il suo desiderio.
La donna  portava un piccolo vassoio sul quale erano posati una bottiglia e una minuscola coppa entrambi di ceramica, si avvicinò al tavolo e, inginocchiandosi alla destra dell’ospite posò il vassoio davanti a lui, poi gli sorrise lievemente a labbra chiuse e senza mostrare gli occhi  mentre con gesti calmi e misurati mesceva il liquido trasparente come acqua nella  coppa e la porgeva con entrambe le  mani , DaSilva aveva già provato la bevanda che gli veniva offerta, sapeva che i locali la estraevano dal riso fermentato e la chiamavano nihonshu , era simile all’acquavite per gradazione ed effetti e lui non aveva mai disdegnato l’acquavite quindi prese ciò che con tanto garbo gli veniva offerto e, senza esitazione, ne ingoiò il contenuto.
Il liquido tiepido e fortissimo gli indusse una smorfia ma poi lasciò sulla sua lingua un gradevole sapore dolciastro; restituì la coppa alla ragazza facendo cenno di gradirne ancora e nel fare ciò domandò:
“ Mariko-san?”
La giovane inclinò il capo leggermente per dar segno di aver udito ma dalle sue labbra non uscì suono alcuno, si limitò a versare altro nihonshu e a porgerlo garbatamente.
Alfonso Da Silva accompagnò la seconda coppa con un grugnito d’impazienza.

Yuya aveva preparato ogni cosa e sé stessa come le era stato ordinato dalla sua maestra e padrona, ora la stanza adiacente a quella dove l’ospite straniero era stato introdotto  si era trasformata  in un palcoscenico: una tinozza di rame, tanto ampia da poter ospitare 2 o più persone per il bagno era stata trasportata al centro della stanza;  tre bracieri, solitamente usati solo nella stagione fredda, erano disposti dietro alla vasca  ad un ordine di Mariko dovevano essere accesi  in modo tale che da essi si sprigionassero alte fiamme atte a fruire da illuminazione.
Lo sgabello sul quale Mariko era solita sedersi per farsi acconciare era stato posto accanto alla  tinozza, un tatami nuovissimo dalle delicate tinte pastello  era discretamente  steso in un angolo un po’ discosto, ovunque sul pavimento erano stati posati  piccoli lumi per il momento ancora spenti.
Yuya, dismesso il suo kimono di cotone azzurro, aveva indossato l’ampia tunica di seta bianca che Mariko le aveva dato, un indumento leggero come l’ala di una farfalla e, come tale, velatamente trasparente aperto sulla parte anteriore per tutta la sua lunghezza e sorretto solo da un laccio posto all’altezza della vita.
Ad ogni passo della ragazza, ad ogni suo movimento, il leggero tessuto della tunica ondeggiava e si spostava rivelando  una spalla , uno  scorcio del piccolo seno o parte delle gambe snelle.
Yuya, sentendosi vivamente imbarazzata aveva chiesto di poter indossare un altro indumento ma il rifiuto della padrona era stato categorico:
“Indosserai ciò che ti ho ordinato, senza fare storie – Aveva sentenziato Mariko –  E non dimenticare di sciogliere i capelli”
Così anche i capelli erano stati sciolti e ora ricadevano, serici e lunghissimi, fino a sfiorare le ginocchia di Yuya.
Mariko non aveva spiegato a Yuya né lo scopo né il fine di tutti quei preparativi e ciò causava nella giovane una vaga inquietudine, conosceva la natura gretta ed egoista della sua padrona e sapeva che, per il proprio benessere e tornaconto avrebbe sacrificato chiunque, eccetto se stessa.
Le due cameriere entrarono portando ognuna sulle spalle un bilanciere alle estremità del quale era appeso un secchio di acqua bollente che rovesciarono nella tinozza in rame, questo andirivieni distolse Yuya dai propri pensieri e la ragazza si affrettò a cospargere petali di fiori essiccati sulla superficie dell’acqua da bagno, in quell’istante entrò Mariko scortata da due vecchissime donne recanti alcuni strumenti musicali le quali, ad un cenno della geisha, andarono ad accovacciarsi  in un angolo ben nascoste dietro un paravento.
“L’onorevole ospite ama la musica, queste due vecchie sorelle ci regaleranno la loro arte questa sera” disse Marko  rivolta a Yuya, poi domandò: “ E’ tutto come ho chiesto?”
La giovane praticante s’inchinò annuendo.
“ Allora che si accendano i bracieri e tutti i lumi, il tempo è venuto” detto ciò lasciò la stanza accennando a Yuya di seguirla

Sebbene la bottiglia di nihonshu fosse ancora piena a metà DaSilva cominciava già ad avvertire uno strano stordimento accompagnato da un lieve torpore delle membra, inusuale per lui  avvezzo ad  ogni genere d’intruglio così, all’ennesima coppa offertagli oppose un secco rifiuto mostrando alla  mescitrice il palmo della mano con tutte le dita ben serrate, la donna intese, posò la  coppa sul tavolo, si alzò e, dopo l’immancabile inchino andò ad inginocchiarsi, un po’ discosta da lui, alle sue spalle.
Una lampo d’intenso arancio  avvampò improvviso dietro la porta scorrevole dalla quale era entrato; Da Silva impiegò qualche istante a realizzare che non si trattava di un principio d’incendio ma  di fuochi volutamente appiccati , superata la sorpresa vide delinearsi  sulla carta di riso bianca che rivestiva la porta,  le sagome nette di alcuni oggetti  e, subito dopo , accompagnate da una musica dolce come l’eco dell’onda, due figure femminili.
Entrambe le sagome erano pressappoco della stessa statura, entrambe molto esili; avrebbero  potuto essere la stessa persona ma una si distingueva per l’alta acconciatura e il grande obi  la cui sagoma spiccava netta nei contorni scuri.
La scena catturò immediatamente  l’attenzione di Da Silva  che, capendo immediatamente che si trattava di una spettacolo allestito a suo uso, si apprestò a goderselo ordinando, con un gesto della mano alla sua mescitrice di tornare accanto a lui e riprendere il lavoro interrotto in precedenza.
Dall’altra parte dello scorrevole Mariko e Yuya si muovevano con lentezza ed enfatizzando i gesti per rendere la visione delle ombre il più nitida possibile allo spettatore.
“ Ora  andremo allo sgabello – bisbigliò appena Mariko rivolta a Yuya – io mi siederò e tu comincerai a sciogliermi i capelli e a pettinarli, come fai ogni sera ma molto, molto lentamente.
Hai capito?”
“ Ho capito, sorella maggiore”

La misteriosa ombra con  l’alta acconciatura si sedette sullo sgabello offrendo il profilo, la sagoma che la seguiva le si avvicinò da tergo e con gesti lenti, misurati ed esperti cominciò a far ricadere lunghe ciocche di capelli che  adagiava poi, con grazia , sulle spalle  della donna seduta; quando tutta la chioma fu libera e sciolta  un grosso pettine venne passato a lungo tra i capelli, la donna che veniva pettinata si arcuava leggermente all’indietro seguendo con il corpo i movimenti  ritmici dell’altra, Da Silva  potè osservare  il collo della donna  lungo e flessuoso, elegante come quello di un candido cigno e  le sue labbra leggermente dischiuse come ad accogliere un bacio.
Quando la figura si levò improvvisa portando le braccia tese in alto sopra il capo anche la musica mutò divenendo ritmica ed incessante come il palpito di un cuore in affanno.
L’aiutante ombra prese in mano un capo dell’obi, l’ampia cintura che cingeva la vita della donna
 nelle cui movenze DaSilva aveva ormai riconosciuto Mariko, e cominciò a tirarla piano verso di se’ripiegandola mano a mano che la stoffa, svolgendosi, arrivava tra le sue mani.
Mariko, sempre con le braccia sollevate sul capo girava su sé stessa liberandosi dalla prigionia dell’indumento.
Quando l’obi fu tolto completamente  l’inserviente si avvicinò, pose le mani sulle spalle della geisha e lentamente fece scivolare a terra  anche il kimono, inaspettatamente Mariko, con lo stesso gesto fece cadere a terra la bianca tunica  indossata da Yuya: colta di sorpresa da quel gesto la ragazza  stava portando istintivamente le mani al seno e al pube nel vano tentativo coprirsi ma la padrona  la bloccò:
“Ferma, non ti muovere guardami negli occhi  e  fai a me quello che io farò a te”
Ora le due sagome erano immobili fronteggiandosi , dall’altra parte della cortina  l’uomo poteva vedere i profili stilizzati delle loro nudità: i seni piccoli ed eretti, i ventri leggermente convessi, le curve dolci delle natiche appena profilate sotto il manto dei capelli,  gli arti eleganti
Erano entrambe splendide . Tracannando d’un fiato altro liquore, DaSilva cercò di calmare l’eccitazione che lo stava invadendo.


Nella mano di Mariko si materializzò un vasetto di ceramica bianca e azzurra  e in quel momento,
come per un segnale convenuto, la donna che fungeva da assistente all’ospite si alzò e, recatasi alla
porta l’aprì.
Come in un sogno, la scena apparve improvvisa in tutto il suo studiato splendore:
I bracieri  ardenti sullo sfondo, l’ampio catino di rame lucido, sfavillante nel riflesso delle fiamme,
le due splendide creature completamente nude, immobili nella loro statuaria perfezione, la pelle eburnea , perfetta nella sua compattezza cremosa, le chiome corvine, lisce e lunghissime quale unico inadeguato indumento.
Istintivamente DaSilva  si sporse in avanti quasi a volersi sollevare  ma la sua mescitrice lo toccò leggermente sulla spalla e, con un gesto del capo lo invitò a guardare, un altro nihonshu gli scivolò in gola.
La prima ad infrangere la staticità del quadro fu Mariko, immerse le quattro dita della mano destra nel vasetto di ceramica le ritirò ricoperte di una pomata bianca e densa delicatamente profumata, sfregando insieme i palmi la distribuì su entrambe le mani poi, lentamente girò intorno a Yuya, ancora paralizzata dall’imbarazzo e dalla sorpresa, e si portò alle sue spalle, avvicinandosi tanto che i suoi seni premettero contro la schiena dell’altra poi, delicatamente, le sollevò entrambe le braccia  a croce e la fece voltare in modo da offrire la parte anteriore del corpo alla piena vista  dell’uomo quindi le  bisbigliò all’ orecchio di restare in quella posizione  finchè lei non le avesse ordinato diversamente.
Con le mani luccicanti di crema circondò il collo della giovane donna e lo massaggiò lentamente proseguendo poi lungo le braccia tese accarezzandole con movimenti sinuosi ed eleganti, raggiunte le mani dell’altra ripercorse con le medesime studiate carezze la parte inferiore della braccia fino a tornare al punto iniziale.
Dalla sua posizione frontale DaSilva poteva godere pienamente solo della vista  della ragazza mentre di Mariko non vedeva che le braccia sottili ebbe così la straordinaria sensazione che, una  divinità multi braccia avesse abbandonato il suo trono di pietra per materializzarsi davanti ai suoi occhi.
Ora le mani di Mariko, abbandonate le braccia, scendevano con ostentata lentezza lungo i fianchi di Yuya accarezzandoli con insistenza  portandosi, impudiche, per un solo istante a coprire il monte di Venere della giovane per abbandonarlo subito dopo.
Le mani sottili risalirono con estenuante lentezza verso i seni turgidi di Yuya accarezzando, ora leggere, ora più decise la nivea pelle del ventre  giunsero poi alla loro ultima meta posandosi a coppa una su ognuno dei  piccoli monti, si riempirono della loro morbida consistenza, li strinsero
ritmicamente  poi le dita sapienti presero a tormentare dolcemente i rosei capezzoli finché questi non mutarono di forma, colore e consistenza . Yuya avvertì una sensazione di calore scendere dal ventre fin nei recessi più nascosti del suo corpo e qui mutarsi in un fiotto liquido che la invase colando come caldo miele tra le sue cosce serrate
“Basta “ disse ansimando rivolta a Mariko che non smetteva di stringere, tirare e accarezzare ma quest’ultima la esortò ancora una volta a tacere poi  staccò le mani dal petto della ragazza , si portò al suo fianco e le fece compiere mezzo giro su se stessa permettendole di abbassare finalmente le braccia.
Le due donne si trovarono così  occhi negli occhi : pozzi neri, accesi di brace, quelli di Mariko, liquidi e smarriti come di cerbiatta in fuga quelli di Yuya.
“Toccami come ho fatto io”
“No…”
La mano destra di Mariko, quella che la visione laterale nascondeva alla vista dell’ospite, risalì rapida il braccio della ragazza e le unghie lo penetrarono con tanta forza da lacerare la pelle sottile
Yuya fece una smorfia e trattenne un lamento
“Fallo, ora o te ne pentirai presto” disse Mariko
Yuya portò le mani incerte al collo della sua maestra e, con gesti titubanti e incerti prese ad accarezzarla come ella aveva fatto con lei.

Da Silva non aveva mai provato in vita sua un’eccitazione più forte, un desiderio più irrefrenabile, guardare quelle due giovani donne nude accarezzarsi intimamente davanti a lui lo faceva impazzire:
 il suo membro  premeva sotto gli abiti,   il rombo del suo sangue gli martellava  nelle orecchie, il cuore gli scoppiava in petto e una voglia animale di possesso si era ormai impadronita di lui.
La giovane donna inginocchiata accanto a lui per servigli da bere era stata istruita a dovere e, notando il rossore sul volto dell’uomo e il suo continuo cambiare posizione capì che era giunto il momento di eseguire gli ordini ricevuti: camminando sulle ginocchia gli si portò alle  spalle e prese a slacciare i complicati ganci che chiudeva la giubba , questi parve  non rendersi conto della cosa e non oppose alcuna resistenza, dopo la giubba le mani leggere lo aiutarono a sfilarsi la  camicia così che rimase a torso nudo, la donna lo invitò  ad alzarsi e, quando fu in posizione eretta,  ella  percorse il  suo petto con lievi carezze fino a trovare il laccio degli ampi pantaloni che presto si arricciarono attorno alle sue caviglie.
Ora il grande corpo di Da Silva non era cinto che di una fascia bianca drappeggiata intorno ai fianchi; così abbigliato venne condotto, traballante a causa del liquore ingurgitato, verso il punto dove si trovavano Mariko e Yuya.
Vedendolo appressarsi Mariko si avvicinò ancora di più alla sua allieva, le passò una mano dietro la nuca e l’attirò a sé con forza fino a che loro corpi non aderirono poi premette la bocca umida e dischiusa su quella di Yuya in un avido bacio, quando si staccò da lei Yuya la guardò attonita e in quell’attimo, le due bocche ancora vicinissime, Mariko disse:
“ L’uomo viene. Ora lo porteremo con noi nella vasca  per intrattenerlo “
Prima che l’altra potesse replicare Mariko la baciò ancora poi, prendendola per mano la condusse  incontro all’ospite aggiungendo . “ Fa come me e impara”
Yuya, la mano serrata da quella di Mariko, il corpo in preda a sensazioni mai provate  in bilico tra timore e curiosità, si avviò in silenzio  verso lo sconosciuto che divorava con occhi accesi  la sua padrona e lei.
Mariko si muoveva sicura  con quel suo passo lievemente ondeggiante, il seno ben proteso offerto alla vista come un trofeo, gli occhi alti, pieni di promesse fissi in quelli dell’uomo.
Quando il trio fu così vicino che il solo allungare un braccio avrebbe consentito ad ognuno di loro di sfiorare l’altro Mariko  lasciò la mano di Yuya  fece un altro passo e fu così vicino a DaSilva da percepirne l’odore lievemente acre di sudore e nihonshu , ne fu disgustata ma sorrise invitante, si inginocchiò davanti all’uomo e, senza togliere gli occhi da quelli di lui gli liberò i fianchi dalla fascia.
Caduto quell’ultima barriera la virilità eccitata apparve alle due donne nella sua pienezza.
Da Silva non era  il primo uomo che varcava la soglia della casa di Mariko e questa era avvezza alla vista  dei loro corpi eccitati, desiderosi di saziarsi in lei ma non aveva mai visto un membro di quelle dimensioni , la vista la turbò ciò nonostante si afferrò con ambo le mani ai fianchi dell’uomo e, rialzandosi fece studiatamente scorrere la fronte e poi le labbra semiaperte sul suo pene  in una lievissima e fugace carezza che fece fremere Da Silva che tentò di trattenerla ponendole una delle sue grosse mani sul capo, ma la donna si levò rapida e gli fu ancora davanti con il viso proteso verso il suo.
Con un cenno fece avvicinare Yuya , ora Da Silva le aveva entrambe di fronte a sé, i  corpi emanavano un lieve calore e un profumo dolce misto della pomata che avevano usato per accarezzarsi a vicenda e degli umori femminili stimolati da quella pratica, le accarezzò entrambe sulle guance poi portò i pollici sulle loro labbra e le forzò a schiudersi, Mariko fu pronta ad accogliere l’intrusione  e subito il grosso dito dell’uomo sparì nella sua bocca calda e lei prese a succhiarlo con studiata voluttà; Yuya oppose una leggera resistenza  poi, vedendo come la sua padrona agiva e, ricordando le parole di quest’ultima, la imitò.
Mentre il grosso dito dell’uomo riempiva la sua bocca esplorandola Yuya  avvertì la mano di Mariko prendere la sua e portarla al membro turgido, non appena avvertito il contatto la giovane tentò di ritirarla ma la padrona non lo permise e le impresse con la sua un movimento rotatorio al quale l’uomo oggetto di tale pratica rispose con bassi mugugni di intenso piacere.
Eccoli ora, ritti in mezzo alla stanza, uniti con mani e bocche in un unico mitologico essere: tre teste, tre dorsi, 6 gambe, intrecciati in una massa di carne fremente stillante umori ed odori.

Fu Da Silva a spezzare il cerchio magico, non tollerando più a lungo quello stato di attesa ed eccitazione tolse le dita dalle bocche delle due donne e, circondandole alla vita con le braccia le attirò a sé con forza poi prese a baciarle con frenesia sul volto cercando ora la bocca dell’una, ora quella dell’altra, insinuando la lingua, vorace nelle loro umide cavità, senza controllo, senza più ritegno; il tempo dei giochi era finito, le voleva e le voleva entrambe; desiderava  affondare dentro di loro con forza,  sentire i loro corpi  scossi dai suoi colpi  fremere e sussultare con lui, ascoltare i loro sospiri, assaporare il loro piacere, godere di loro fino allo sfinimento.
Si lasciò cadere a terra e il peso del suo corpo trascinò con sé le due donne che si ritrovarono in qualche modo avvinghiate a lui, incapaci di liberarsi da quel corpo pesante che le premeva a terra
Yuya percepì il cambiamento nell’uomo ed ebbe paura :
“Padrona, che accade?”
Mariko aveva a sua volta capito che non era più possibile fermarlo, ormai la volontà di quell’uomo era stata annullata dalla voce dell’istinto, aveva visto altri uomini così, resistergli non sarebbe servito che a eccitarlo di più, doveva in qualche modo preservare sé stessa, non poteva permettere a quella bestia straniera di violarla, se poi si fosse risaputo che era stata posseduta da quell’essere immondo nessuno più l’avrebbe voluta. La sua voce aveva un tono dolce e rassicurante mentre diceva a Yuya : “ Non temere, egli non vuole nulla di diverso da quello che tutti gli uomini vogliono. Tu asseconda i suoi desideri tutto finirà presto”
Nella confusione di gambe, braccia, labbra e lingue che seguì Da Silva non si rese conto che Mariko era riuscita a liberarsi dal suo abbraccio ora, stretta a lui restava solo la giovane ragazza della quale non conosceva neppure il nome, solo in un istante mentre con una mano le stringeva il seno, mentre la sua lingua affondava nella bocca di lei e l’altra mano forzava le sue gambe ad aprire un varco verso la sua più intima cavità,  si rese conto di non essere venuto per lei ma subito l’onda dei sensi lo travolse ancora, il contatto con quel corpo morbido e caldo gli offuscò ogni pensiero coerente, avvertì l’umido calore tra le cosce della ragazza e in un estremo attimo di desiderio si sollevò sui fianchi , con la mano guidò il suo membro e, riabbassandosi con forza penetrò quel corpo accogliente.
Un  lamento lo accolse nella calda, avvolgente intimità  di lei  ma i suoi sensi offuscati dall’alcol e dall’eccitazione  non colsero la sofferenza della ragazza che ora tentava in tutti i modi di liberarsi da quel corpo che la schiacciava sotto di sé fino a toglierle il respiro, da quei colpi ritmici e pesanti che la  dilaniavano impietosi; sordo alle sue preghiere, alle sue lacrime, insensibile al martellare dei suoi deboli pugni sulla  schiena l’uomo continuò a muoversi dentro di lei  per un tempo che le parve eterno poi, improvvisamente, si bloccò, sollevò la testa la bocca aperta in muto grido,  la schiena inarcata le braccia tese, a far leva, appoggiate  al pavimento, un ultimo spasmo e Yuya lo sentì crollare su di sé molle e pesante come se improvvisamente non avesse più ossa .

“E’ finita – fu il suo primo pensiero coerente- sono viva”
Il corpo dell’uomo pesante e sudato, la immobilizzava ancora rendendole difficile la respirazione e il suo respiro nell’orecchio era il rantolo insopportabile di un ubriaco ma almeno quel martellare doloroso era cessato, sentiva ora un dolore bruciante là dove il membro dello straniero l’aveva percorsa  incessante ma era finita.
Lentamente e faticosamente si spostò di lato fino a che non riuscì a liberarsi, si sollevò lentamente aiutandosi  con le braccia, poi istintivamente portò una mano  in mezzo alle gambe e si toccò, sebbene si fosse appena sfiorata un dolore acuto le fece saltare le lacrime agli occhi, trasse la mano e la guardò era lorda di sangue e di un altro liquido biancastro e vischioso che non riconobbe.
Mentre ancora osservava la sua mano una voce la sorprese:
“ Il sangue è quello della tua verginità, sei una donna ora; l’altro è il suo seme se sarai fortunata non attecchirà” La voce di Mariko aveva lo stesso tono piatto ed indifferente di quando ordinava alle sue cameriere di andare al mercato.
Yuya ruotò la testa in direzione del voce e la vide: Mariko  aveva indossato il suo kimono, quello stesso splendido indumento donatale dall’Imperatore e ora stava seduta la schiena eretta e le ginocchia strette sul basso sgabello delle acconciature e osservava Yuya  con occhi freddi e aria distaccata.
“Padrona, perché hai permesso che la bestia straniera mi facesse questo ?” disse Yuya mentre lacrime ormai senza singhiozzi le inondavano copiose le guance pallidissime
“ Perché, mi domandi. Sei stata tu ad offrirmi il tuo aiuto, ricordi?”
“ Io non sapevo…” mormorò la ragazza, la geisha non le diede modo di termina re la frase, le sue grida la investirono con inaspettata violenza:
“TU NON SAPEVI? Che intendi dire, che se avessi  saputo quello che sarebbe accaduto ti saresti rifiutata? Lurida ingrata  non mi devi quindi nulla?  Io ho pagato per te a tuo padre in pezzi d’argento e tu sei mia, capisci  bene ciò che dico? SEI UNA COSA MIA .
La tua volontà non conta, tu vivi per servirmi in ogni cosa io desideri e se io ora ti cacciassi da questa casa per esserti data come una cagna randagia ad un lercio straniero NESSUNO potrebbe impedirmelo o biasimarmi e sarei nel mio pieno diritto, quindi rifletti bene su ciò che dici e su ciò che ti conviene”
S’interruppe un istante, paonazza in volto, riprese fiato prima di aggiungere piena di cattiveria:
“ Ora, se hai finito di intrattenerti con il tuo amante, lavati e poi vieni qui e acconciami i capelli, il barone Masahide desidera musica al suo banchetto questa sera.
Tu non mi scorterai, non potrei permettere ad una sgualdrina della tua specie di sedere nella stessa stanza con un illustre personaggio come il barone”
Yuya non replicò, si rialzò e barcollando, la vista offuscata dalle lacrime raggiunse la tinozza da bagno; l’acqua era ormai gelata ma ella vi si immerse con gratitudine e prese a sfregarsi con forza i genitali come se quel gesto potesse cancellare il ricordo bruciante della violenza subita.

Per tutto il tempo che Yuya aveva impiegato a lavarsi  Mariko era rimasta immobile seduta, lo sguardo fisso davanti a sé, le labbra serrate in una linea sottile e crudele, una dea di fredda pietra, bellissima e crudele.
Yuya, uscita dal bagno aveva infilato la tunica bianca datagli da Mariko in precedenza e ora, portatasi alle spalle della donna si apprestò al suo compito; iniziò a pettinare i lunghi capelli neri, folti e lucidi, poi li divise in tre grandi ciocche, prese altrettanti nastri e cominciò ad intrecciarli con le chiome, la voce della sua padrona la colse di sorpresa.
“ Sei brava Yuya. Ti ho osservato mentre ti davi allo straniero, hai goduto ogni istante, avresti un grande futuro in una delle “Case delle donne”.
Fu un attimo.
Un urlo da bestia ferita squarciò l’aria e rimbombò sulle pareti della stanza, Yuya, la bocca schiumante, gli occhi iniettati di sangue  tirò con forza la lunga ciocca di capelli che teneva nelle mani, la passo intorno al collo della padrona e tirò, tirò, tirò... Smise solo quando i movimenti convulsi di Mariko cessarono, quando il corpo di lei, ormai senza vita si accasciò sul pavimento, allora mollò la presa e restò immobile, le braccia abbandonate lungo i fianchi, gli occhi sbarrati, vuoti fissi sul corpo senza vita ai suoi piedi.
Il tempo stagnava nella stanza come una densa nebbia, il silenzio era profondo come il respiro dell’uomo ubriaco e addormentato sul pavimento a poca distanza da lei, Yuya si mosse come in sogno, guidata da una volontà superiore si chinò su Mariko e la spogliò dello splendido kimono abbandonando poi il corpo scomposto e seminudo così che nella morte non trovasse onore,  rivestì quindi sé stessa dell’indumento, raccolse i capelli in un bel nodo sulla sommità del capo poi si guardò intorno nella stanza alla ricerca di uno strumento che facesse al caso suo, accanto ad uno dei bracieri vide un attizzatoio annerito lo prese, tornò presso il cadavere della geisha e lo depredò dei larghi nastri per i capelli poi si avvio verso il tatami; prima di inginocchiarsi si legò strettamente le ginocchia con uno dei nastri e passò l’altro sotto il mento allacciandolo poi alla sommità del capo
così sarebbe stata composta anche nella morte e avrebbe ritrovato il suo onore.
Inginocchiatasi  puntò l’attizzatoio all’altezza dello sterno tenendolo  ben saldo con entrambe le mani poi, senza un lamento si gettò sul ferro, restò così inginocchiata, come in preghiera finché la colse l’ultimo respiro.

Il ritmico battere della pioggia sul tetto lo destò, quanto tempo era rimasto incosciente?
Vaghi ricordi ritornavano ora a sprazzi ora nitidi e tutti erano accompagnati dal rigurgito acido del
troppo vino di riso ingurgitato “Maledetti Bacco e Venere” pensò, poi un ghigno di soddisfazione gli deformò per un attimo i lineamenti e riprese a mezza voce “ O benedetti”.
Nella fioca luce si guardò intorno alla ricerca dei suoi abiti, solo il diavolo sapeva dove potessero essere, infine li individuò e li indosso alla meglio.
A parte il dolore atroce che gli spaccava la testa si sentiva soddisfatto mentre si avviava a guadagnare l’uscita ma all’improvviso il suo piede urtò qualcosa dalla strana consistenza, istintivamente guardò a terra e ciò che vide lo riempì d’orrore: una donna giaceva a terra, nuda, gli arti scomposti, una lunga banda di capelli neri attorti al collo, bocca e occhi spalancati in un ultimo grido muto, Da Silva impiegò qualche istante per riconoscere in quei miseri resti quella che era stata la superba Mariko.
Sconvolto dalla visione esplorò con lo sguardo l’ambiente circostante, tutto era immerso in una profonda penombra spezzata appena dalle luce delle poche braci che ancora ardevano nei bracieri, finalmente  vide in un angolo della stanza una figura umana accovacciata come in preghiera si mosse rapido per raggiungerla ma quando fu accanto alla sagoma la crudezza della visione gli fece credere di vivere un incubo: inginocchiata, con la fronte a toccare terra, le ginocchia legate strettamente tra loro e un lungo ferro che le trapassava il corpo uscendo tra le scapole c’era il cadavere di un’altra donna; DaSilva si chinò per scrutarne il volto e subito riconobbe la giovanissima fanciulla che aveva giaciuto con lui e della quale non conosceva neppure il nome.
“Che Dio abbia pietà di noi – pensò- che sta succedendo qui?”
Per quando cercasse una logica tutta la macabra scena gli appariva inspiegabile, che era accaduto mentre lui dormiva vittima dell’alcol e degli eccessi?
Istintivamente si rese conto di dover uscire da quella casa immediatamente per proteggere la sua stessa incolumità, si rizzò in piedi e fece per avviarsi ma ancora una volta lo sguardo fu catturato dalla pietosa immagine del corpo di Yuya,  contorto negli ultimi spasimi della morte, in quell’istante notò che la ragazza indossava il sontuoso kimono che era stato di Mariko e che lui avrebbe dovuto ottenere da quest’ultima e potare alla concubina dell’Imperatore, ricordò improvvisamente quali sarebbero state le conseguenze se avesse fallito la sua missione e non ebbe più esitazioni inginocchiatosi accanto al corpo senza vita di Yuya prese a depredarlo del prezioso abito.
Quando ebbe terminato il macabro rito vide che, dove il ferro era penetrato vi era una lacerazione  e il sangue aveva irrimediabilmente macchiato il prezioso tessuto “Non è affar mio- pensò- Keyco dovrà accontentarsi”.
Abbandonando il corpo nudo e martoriato di Yuya riverso nella pozza del proprio sangue lasciò per sempre quella casa con il suo prezioso carico arrotolato sotto il braccio.

Il giorno seguente DaSilva fu prelevato dalle camere che occupava nel palazzo imperiale e formalmente accusato dell’omicidio della geisha Mariko e dell’allieva di lei, Yuya nonché del furto del preziosissimo kimono dono dello stesso imperatore.
A nulla valse la  disperata difesa dell’uomo, molti testimoni lo avevano visto entrare nella casa e il mattino successivo alla sua dipartita le due donne erano state trovate uccise e derubate inoltre lo straniero si era rifiutato di riconsegnare il kimono sottratto narrando che la notte stessa l’indumento  era misteriosamente sparito e al suo posto egli aveva trovato un lungo nastro rosso con una misteriosa iscrizione che  egli aveva provveduto a dare alle fiamme.
Neppure la tortura servì a fargli rivelare il nascondiglio del kimono; dopo lunghe ore di supplizi inenarrabili egli confessò i delitti e il furto ed  indicò diversi luoghi dove  si sarebbe trovato l’oggetto ma, ispezionati questi, nulla venne trovato.
 La condanna fu esemplare prima di decapitarlo gli furono cavati gli occhi e mozzata lingua e mani poi le sue membra furono abbandonate , pasto per gli animali selvatici.
Il prezioso kimono non venne mai più ritrovato.

Lo destò il ticchettio insistente della pioggia.
Si sentiva stordito e stanco il lungo sonno, tormentato da strane e confuse visioni, non l’aveva ristorato.
Con notevole sforzo si mise a sedere sulla sponda del letto e prese a  ruotare lentamente il collo nel tentativo di ridurne un poco la tensione nel compiere tale movimento il ripiano sul quale aveva posato il suo prezioso involto entrò nel suo campo visivo per un attimo, vuoto.
Improvvisamente sveglio raggiunse con un balzo  il mobile per verificare meglio, non si era sbagliato, il pacco non era più lì, preso da improvvisa frenesia si diede ad aprire ed ispezionare tutti i  luoghi possibili senza risultato.
 Era stato derubato non vi era altra spiegazione.
Si lasciò andare  sul letto e in quell’istante vide sul pavimento una sottile striscia di raso rosso, lo raccolse e lo esaminò, portava una minuscola indecifrabile iscrizione ricamata in bianco.
Senza attendere ulteriormente uscì dalla stanza e si recò alla reception dell’hotel; non aveva idea di che ore fossero ma l’aria insonnolita e seccata dell’addetto quando, mostrandogli il nastro, gli chiese di tradurre l’iscrizione lo convinse che  doveva essere ormai notte inoltrata.
L’uomo dietro al bancone osservò la striscia per circa un minuto rivoltandola tra le mani con aria perplessa poi disse:
“Mi dispiace, è scritto nella nostra lingua ma non riconosco molti dei caratteri, forse si tratta di una
iscrizione arcaica, decifro chiaramente solo un nome : Mariko.






2 commenti:

  1. Racconto superbo, scritto con maestria, rara e intrigante.
    Sai già che lo adoro...
    Un abbraccio!
    Ax

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  2. Suggestivo ed accattivante.
    Sai già quanto mi piaccia.
    Una stretta di mano. Marx

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