lunedì 22 novembre 2010

Il Viaggiatore


Dalla strada, aggrappata al fianco della montagna brulla, si vede una baia solitaria: rocce scure, contro il cielo indaco, abbracciano un lembo di sabbia vulcanica. nera e brillante.
Un ripido sentiero degrada verso il mare, tra arbusti bruciati dalla siccità e rare piante di olivo dai tronchi contorti.
L’auto sobbalza a ogni metro, sollevando una polvere  giallo zafferano, simile a borotalco.
Non ci sono costruzioni né coltivazioni, il silenzio è pieno solo del rombo del mare, ancora lontano, e del frinire dei grilli tra gli sterpi.
La pendenza e la polvere impediscono la vista della strada principale così, voltandosi indietro, si ha l’impressione di galleggiare in un mare giallo.
L’ultimo tratto è percorribile solo a piedi: il vento soffia incessante e caldissimo, in pochi minuti
 la polvere spessa riempie occhi e gola…”
Seduta accanto al letto, in quell’angusta stanza d’ospedale, respirando con parsimonia l’aria, pregna di disinfettante e malattia , Marta leggeva ad alta voce un vecchio diario di suo padre.
Non era certa che l’uomo emaciato e immobile, costretto in quel letto da ormai molte settimane, la udisse, ma poco importava. Leggeva  per se stessa, per conoscere meglio quel padre, tanto spesso lontano, preso dai suoi viaggi e dai suoi libri, più di quanto fosse mai stato preso da lei.
Non c’era risentimento verso il genitore, nessuna recriminazione; amava suo padre per l’uomo che era: libero e imprevedibile, come una folata di vento.
Guardandolo ora, giunto al traguardo della vita, aveva il solo rimpianto di non essergli stata più accanto, di non averlo costretto a fermarsi, per parlare con lei oppure di non essersi costretta a seguirlo, per imparare da lui.  I brevi periodi trascorsi insieme erano stati così ricchi e intensi, pieni e appaganti, che dubitava avrebbe potuto avere di più da un padre sedentario e “normale” tuttavia, il vago senso di abbandono, che aveva sperimentato fin da bambina, ancora aleggiava tra loro. Non aveva mai saputo quando suo padre sarebbe tornato o ripartito, tutto era casuale e improvviso nella sua vita: bastavano una telefonata o un’idea, per far apparire sulle spalle del padre il vecchio zaino militare e vederli,  entrambi, prendere il volo. Sembrava impossibile ora, che il grande viaggiatore, prigioniero del proprio corpo, fosse costretto all’immobilità.. Una lacrima  disegnò sulla guancia di Marzia un fiume tortuoso e cadde sulla mano sottile, segnata da grosse vene bluastre, dell’uomo giacente.
“ Non piangere bambina, Dio conta le lacrime delle donne, ma non le asciuga…”
La sua voce gli rimbalzava in testa, dilatandosi in mille eco, che si confondevano nel suo petto con i brevi e dolorosi respiri.
Perso in quell’universo senza dimensione e tempo, popolato solo di immagini  evocate dai sui ricordi, poteva udire e comprendere ogni cosa, ma non essere udito.
Nei primi istanti di quella assurda prigionia,  terrorizzato dall’assenza di un corpo che gli fosse veicolo per il mondo, aveva tentato, con tutta la forza della più angosciosa disperazione, di tornare. Per un tempo che gli era parso infinito, aveva urlato, chiamato, supplicato; era arrivato ad insultare e maledire. Infine, sfinito di essere l’unico auditore di se stesso,  si era arreso. Aveva compreso e accettato il suo nuovo stato e, come era nella sua natura, aveva iniziato a esplorarlo: luoghi segreti e sconosciuti erano venuti alla luce. Capacità sopite erano state risvegliate: un nuovo mondo gli aveva aperto le porte. Senza fatica aveva trovato le risposte, a tutti i quesiti insoluti della propria esistenza. Aveva penetrato, finalmente, il fulcro della vita: tutto era così semplice, alla fine!
Forte della propria acquisita saggezza, libero da ogni timore per il futuro, solo lo angustiava il dolore della figlia. Avrebbe voluto rassicurarla, farle comprendere in qualche modo che, nonostante quello che i medici dicevano, lui stava bene, quella sua condizione non era che la preparazione a un altro viaggio: il più importante.
Sentì che Marta gli accarezzava la mano, detergendo con la sua, la lacrima sfuggita di poco prima poi, con voce un po’ incerta riprese a leggere i suoi vecchi appunti di viaggio.
“…Il sentiero che scende alla piaggia è ripido, seminato di pietre aguzze. Avvicinandosi il rumore del mare si fa più forte, si percepisce profumo di salsedine nel vento .
Al termine della discesa, un’ampia spianata puntellata di giganteschi pini dalle chiome ad ombrello, si offre allo sguardo, il terreno è ricoperto da uno spesso strato di aghi secchi, che scricchiolano a ogni passo.
La pineta è fresca e buia, come una cattedrale gotica: tra i rami intrecciati, in forme strane e drammatiche, si scorgono lembi di cielo purissimo. Il profumo dei pini e degli aghi essiccati, misto al vento di mare, ricorda incenso e candele.
La galleria naturale sfocia infine sulla spiaggia. Al primo colpo d’occhio lo spettacolo toglie il fiato: basse dune di sabbia nera scintillano di pirite, come un cielo notturno. Oltre i dolci declivi il mare, grigio e rabbioso, si schianta con paurosi ruggiti su una barriera di roccia e, prima di tornare all’orizzonte, lascia un po’ di sé in una vasta pozza dove, placide e limpidissime acque, accolgono piccoli pesci gialli e blu ed enormi granchi, neri come le rocce che popolano.
Il vento e il mare non regalano tregua a quella poca terra: la battono, la erodono con incessante lavorio così che, dove un attimo prima c’era un cratere, ora si vede un tumulo. Solo le rocce aguzze sono un riferimento stabile.
Il mare qui non mormora, urla con tale potenza da far sobbalzare il cuore in petto a ogni schianto. Le onde si susseguono senza tregua, altissime e schiumanti, ti sovrastano per un istante, come fauci spalancate, prima di infrangersi sulla pietra: ancora e ancora.
E’ un luogo selvaggio e magnifico, dove la natura mostra il suo inesorabile potere e la sua terrificante bellezza. E’ un luogo dove il tempo è fermo e l’uomo, solo di passaggio.”
Marta chiuse il vecchio quaderno e lo poggiò sul letto, accanto al padre poi, presa da un impulso improvviso, sollevò la mano inerte dell’uomo e con essa coprì la copertina consunta del diario.
“ Ecco – pensò - ora il mondo è nelle tue mani, papà. Non smetterai mai di viaggiare.”
Si alzò e lasciò quella stanza, priva di vita apparente.
Il pensiero, silenzioso come una piuma portata dal vento, volteggiò senza meta, infine si posò sulla coscienza sopita dell’uomo che lo fece suo.
  No, non smetterò mai di viaggiare. Quando il mio buio verrà, improvviso, come un tramonto d’Africa o estenuante, come un’aurora boreale, mi offrirò al sua abbraccio senza timore.
Con l’ultimo palpitar di ciglia, porterò con me: notti d’Australia, pregne d’eucalipto e cicale,un granchio nero, su rocce battute dall’onda. Neve e pioggia, intrecciate in una danza di gelo. Un viale di palme in rete di luci e stelle, stelle a milioni, mute testimoni di questa vita in fuga.”


1 commento:

  1. Toccante, di grande bellezza e profondità interiore, scritto con grande maestria e mantenendo alto l'interesse nella lettura che va in crescendo fino alla fine. Direi sublime!
    Un abbraccio.
    Ax

    RispondiElimina